Le due tappe del percorso riabilitativo dalla prospettiva del paziente
Nel momento in cui il paziente domanda di iniziare il percorso riabilitativo, generalmente è spinto dall’esigenza di fuggire una situazione insostenibile. Le seconda tappa avviene quando egli avverte l’esigenza di conseguire l’indipendenza, non in maniera velleitaria, bensì riconoscendo le esigenze della realtà, in cui vi è un posto per desiderio e soddisfazione, ma anche per responsabilità e impegno.
Il contesto e la strumentazione riabilitativa necessari affinché i percorsi offerti ai pazienti risultino effettivamente adeguati agli scopi che si propongono, fanno distinguere due profili riabilitativi, che possiamo indicare come riabilitazione della vita quotidiana e riabilitazione delle capacità sociali.
La vita quotidiana rappresenta l’ambito entro cui si esercitano tutti quegli atti che costituiscono le cosiddette “abilità sociali di base”: la capacità di badare a se stessi, di abitare e muoversi in maniera adeguata nell’ambiente, fino alla capacità di stare soddisfacentemente in relazione con gli altri, inclusa la capacità di avvantaggiarsi in maniera più stabile e matura degli apporti che il trattamento – medico e psicologico – può dare allo scopo di ridurre gli handicap derivanti dal disturbo di natura psicopatologica.
Le capacità sociali concernono invece l’ambito complesso definito in primo luogo dall’indicatore rappresentato dalla capacità di assumere un ruolo lavorativo, che permetta al paziente di puntare all’almeno parziale e futura autonomia economica. Infatti, la capacità di sostenersi, almeno parzialmente, dal punto di vista economico, condiziona fortemente la possibilità di stabilire relazioni soddisfacenti, autonomia dell’abitare, acquisizione di un ruolo sociale. È pertanto evidente che lo sviluppo di una capacità lavorativa rappresenta solo l’indicatore principe di una complessa rete di capacità sociali, che include, consolida e perfeziona quanto il paziente ha raggiunto nel percorso di riabilitazione della vita quotidiana.
Nessuna patologia psichiatrica, la cui sintomatologia si sia ridotta e stabilizzata in seguito alla presa in carico terapeutica, esclude la presenza di potenzialità evolutive positive, che invece risultano maggiormente attivate nel momento in cui si aprono (o riaprono) reali possibilità di condurre una vita normalmente indipendente.
Esaminando questo stesso percorso dalla prospettiva del paziente (in funzione non innanzitutto delle sue capacità, bensì della consapevolezza della sua motivazione), possiamo affermare che – a partire dal momento in cui egli riconosce l’esigenza di iniziare un percorso riabilitativo a carattere residenziale – quest’ultimo generalmente si sviluppa attraverso due tappe che, nella maggioranza dei casi, ciascun paziente compie in successione e che si intersecano con i due profili riabilitativi.
La prima tappa, fase della domanda, prende avvio nel momento in cui la domanda del paziente viene accolta nonostante, in questa prima fase, si riconosca frequentemente in essa un desiderio dei familiari o dai curanti, piuttosto che del soggetto. Anche quando il paziente esprime la volontà di impegnarsi in un percorso riabilitativo, il disorientamento della malattia, che ancora determina quasi totalmente il suo assetto di vita, ne riduce la motivazione all’esigenza di fuggire una situazione sperimentata come non ulteriormente sostenibile.
In questa fase vengono sostanzialmente offerti al paziente un nuovo contesto di relazioni, in grado di accogliere anche le sue esigenze di accudimento e di normatività, e il tempo necessario a compiere dei passi che gli consentano di nutrire maggiore stima in se stesso e nelle proprie possibilità, così da poter elaborare una domanda riabilitativa più autenticamente personale. Gli operatori, a loro volta, necessitano di tempo per verificare le possibilità di evoluzione del paziente, la sua “tenuta” nelle incombenze della vita quotidiana e nella relazione, le motivazioni e le capacità di investimento che lo muovono all’assunzione di responsabilità lavorative e a una vita complessivamente più autonoma.
La seconda tappa, fase dell’autonomia, si occupa del momento più delicato dell’intero percorso, quello in cui – assestati i problemi clinici e di trattamento, raggiunto un sufficiente riordinamento della condotta e della vita quotidiana – il paziente giunge ad esprimere l’esigenza di conseguire la propria indipendenza e pertanto di lavorare per guadagnare dei soldi per vivere.
L’espressione di questa esigenza rappresenta nel medesimo tempo sia un risultato, sia un passo delicato proprio perché spesso si tratta della prima volta in cui accade che il paziente acceda a un riconoscimento realistico (e non autoforzato) delle esigenze della realtà, in cui vi sia posto per desiderio e soddisfazione, ma anche per l’accettazione degli aspetti che si presentano come ostacoli, fonti di incertezza e di scoraggiamento.
Pertanto, il passo in avanti che porta il soggetto a desiderare di farsi effettivamente carico della propria realtà quotidiana e delle sue inevitabili frustrazioni, nel medesimo tempo lo espone, paradossalmente, al rischio di compiere un passo all’indietro, conducendolo ben presto ad agire in maniera contraddittoria rispetto a quanto era stato previsto, a manifestare disagio attraverso la riaccensione di certe modalità patologiche che sembravano essere state superate, con manifestazioni regressive sia sul piano del pensiero sia su quello del comportamento, che tornano a scompaginare anche quegli aspetti della vita quotidiana che sembravano ormai riordinati.
La delicatezza del passaggio è data anche dal fatto che il soggetto, esposto all’insuccesso costituito dall’eventualità di “tornare indietro” proprio nel momento in cui si era sentito finalmente in grado di “fare un passo in avanti”, oltre a “bruciare” delle opportunità faticosamente individuate, si “scotti” al punto tale da rinunciare definitivamente al percorso emancipativo o da essere frettolosamente giudicato inidoneo e non capace di compierlo.
Il momento dell’avvio di un’esperienza lavorativa (indipendentemente dal fatto che si tratti di uno stage, di un tirocinio, di una borsa lavoro o di una modalità ancor più responsabilizzante) rappresenta una cerniera che, mentre stimola il soggetto ad assumere nuove responsabilità e a desiderare di compiere ulteriori passi (autonomia anche abitativa), mette fortemente alla prova e in tensione l’equilibrio che ha raggiunto nella vita quotidiana. Infatti, per andare al lavoro al mattino, occorre superare l’inerzia ad affrontare la giornata; occorre essere in grado di lasciare il letto per tempo; occorre sapersi preparare in modo da essere presentabili; occorre avere qualcuno con cui affrontare e rielaborare le difficoltà – soprattutto di tipo relazionale – che si sono incontrate; occorre che ci sia una presenza attenta che sappia valutare che il carico di responsabilità e di sollecitazioni a cui il paziente è esposto non sia superiore a quanto effettivamente gli è possibile e che lo incoraggi a sostenerlo. Da ultimo, occorre una presenza che, nel caso, possa prolungarsi al di fuori del contesto residenziale per svolgere una funzione di mediazione e sostegno nell’ambiente esterno (di lavoro, ma, successivamente, anche dell’ipotetico domicilio autonomo).