
14 Mar Via Crucis: dall’apparenza all’esperienza
Le quattordici stazioni commentate da don Vincent Nagle, cappellano presso la Fondazione Maddalena Grassi a Milano.
I Stazione
Gesù è condannato a morte
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Pilato disse loro di nuovo: “Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?”. Ed essi di nuovo gridarono: “Crocifiggilo!”. Pilato diceva loro: “Che male ha fatto?”. Ma essi gridarono più forte: “Crocifiggilo!”. Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
(Mc 15, 12-15)
Gesù è condannato ma non è lui il colpevole. È esposto allo scherno e al violento disprezzo del popolo, ma non ha commesso lui i peccati. È caricato della croce su cui sarà inchiodato, ma non è lui che ha tradito la verità. io sono colpevole, ma non vorrei prendere il suo posto. sono io il peccatore ma non sarei disposto ad espormi, nella mia vergogna, al giudizio del popolo. sono io che tradisco la verità, ma rifuggo da ogni pena, da ogni peso, da ogni sofferenza.
Guardando Gesù ridotto così, col corpo coperto di colpi, piaghe, ferite, il viso pieno di lividi e sangue, la corona di spine conficcata sul capo, non mi viene voglia di prendere il suo posto, benché lui sia innocente ed io no. Non contemplo neppure la possibilità di sostituirmi a lui per subire quello che merito. accetto che un innocente soffra al mio
posto. Che cosa deve pensare di me? Mi chiedo se, accettando la croce da innocente, lui pensi a me che, nello stato di peccato, non faccio niente per accompagnarlo. Mi chiedo che cosa pensi mentre tutto soffre per me; quando io, che meriterei quella sofferenza, non accetto di soffrire nulla per lui e nemmeno per me stesso.
Gesù, permettimi di accompagnarti oggi su questa via dolorosa e di offrirmi tutti i giorni nell’unione a te e al tuo sacrificio per la salvezza mia e del mondo. Fa’ che l’esperienza della comunione con te, nella tua misericordia, vinca il mio terrore davanti alla terribile apparenza della sofferenza.
II Stazione
Gesù è caricato della Croce
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi,
inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: “Salve, re dei Giudei!”. Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.
(Mt 27, 27-31)
contempliamo quel momento terribile, indicibile, in cui la nostra libertà viene realmente messa alla prova: accettare la croce, questa croce. “Non questa!, non questa!”, viene da dire. Per noi è inaccettabile portarla; e siamo invidiosi se quella degli altri ci pare più leggera.
Durante il mio primo anno di sacerdozio, mi sono ammalato. Mi hanno mandato in montagna, in un piccolo paese del Trentino, dove visitavo gli anziani nelle loro case. Uno di questi aveva una piccola finestra che guardava verso la piazza. un giorno mi disse: “ci lamentiamo molto delle nostre croci ma sono convinto che, se improvvisamente diventassero visibili le croci di tutti e le portassimo nella piazza del paese, deponendole lì, potendo sceglierne una, ognuno tornerebbe a casa con la propria”.
Costa ammetterlo ma è così: la croce che Dio mi dà è costruita precisamente per salvare me. considero tante volte questa ipotesi e tante volte la rigetto perché la mia libertà è misera. La croce è fatta di ciò che più difficilmente riesco ad accettare. se, però, acconsento a portarla, a baciarla, allora imparo ad amare. Questa è la fonte della vita eterna per me e per tutti: significa partecipare alla salvezza del mondo operata da Cristo.
La croce scelta per noi appare inaccettabile, ma è il luogo privilegiato per andare in fondo all’esperienza della misericordia di Cristo.
Domandiamo, allora, di scommettere la vita – anche se sembra follia – sull’esperienza della comunione con lui.
III Stazione
Gesù è condannato a morte
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
(Gv 1, 10-11)
Rifiutiamo con veemenza i nostri limiti perché ci ricordano il limite rappresentato dalla morte. Non vogliamo guardarla in faccia e non vogliamo neanche domandare di vederla in Cristo, con Cristo e per Cristo, come passo d’amore.
Il nostro cuore rifiuta il limite, quello dell’altro e del mondo, e anche il proprio. Non crede sia possibile che, nei limiti, il suo amore infinito possa raggiungerci.
Lui è caduto. È figlio di Dio ma è anche uomo, ed è sfinito.
Lui, che è stato imbattibile in ogni cosa, fino a quel momento della sua vita. Adesso, davanti a tutti, ferito dallo scherno di tutti, cade perché non ce la fa più.
È questo il vero momento di grazia in cui possiamo chiedere: “Padre, fai che attraverso questa caduta io sappia umiliarmi, davanti a me stesso e al mondo. Fai che sia un’occasione di apertura al tuo amore. E che la mia vita, con tutti i suoi limiti, ferita dall’esperienza della morte, sia la conferma gioiosa del tuo amore eterno”.
IV Stazione
Gesù incontra Sua Madre
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Simeone parlò a Maria, sua Madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada tra figgerà l’anima».
(Lc 2, 34-35)
Una cosa è accettare di vivere, soffrendo con santità. un’altra è vedere come la nostra scelta di vivere secondo Cristo faccia soffrire gli altri, metta loro in difficoltà e il loro mondo in crisi. Può accadere infatti che proprio la nostra scelta di seguire Dio causi così tanto sgomento negli altri da portarli al punto di rifiutare Dio.
Che cosa accade nello scambio di sguardi fra la Madonna e Cristo? Che cosa avrà significato per Gesù guardare negli occhi sua madre e vedere come la croce la facesse soffrire?
Questo dolore, causato dall’impegno di seguire la volontà di Dio, forse è stato per lui la vera prova. Era come invitare Maria, sua madre, a camminare fino in fondo con lui.
Non c’è niente da fare. L’amore per il destino dell’altro richiede un distacco; per favorirlo, dobbiamo obbedire alla volontà di Dio. E questo ci fa soffrire. Chiediamo che Gesù guardi nei nostri occhi e veda in noi almeno un po’ di compassione. Chiediamo che il suo dolore e quello della Madonna guariscano i nostri cuori spezzati, cioè morti alla speranza che le cose di questo mondo ci possano rendere felici. chiediamo di poter vivere unicamente per una promessa che, incontrata in carne ed ossa su questa terra, non è di questa terra.
C’è un dolore indicibile in questo incontro tra Gesù e Maria, ma vince l’esperienza della comunione. il Figlio e la Madre si aiutano ad andare avanti, fino in fondo. Preghiamo che la loro libertà ci faccia desiderare la stessa libertà per la salvezza nostra e del mondo.
V Stazione
Il Cireneo aiuta Gesù a portare la Croce
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo.
(Mc 15, 21)
Simone il Cireneo non aveva scelto questa croce e non era cosciente di averla meritata. Ai suoi occhi, era pura ingiustizia e, per quanto capiva lui, immotivata. Simone era terrorizzato: non era un’esperienza consueta essere preso dai soldati e obbligato a portare il patibolo. Ogni volta che contemplo l’episodio del Cireneo, medito su un aspetto del racconto. Nel vangelo di Marco, sono riportati anche i nomi dei figli di quest’uomo, Alessandro e Rufo. Sappiamo che era di Cirene, che quel giorno aveva lavorato nei campi e che stava tornando a casa. Perché ci vengono date tante informazioni?
Perché in quel gesto di immeritata condanna lui si è trovato amato, preferito. Proprio in quel gesto violento con cui è stato preso tra la folla e buttato sotto un orribile peso, lordato di sangue, Simone ha potuto accompagnare per un po’ la sorte del condannato.
Improvvisamente si è scoperto amato: anche sotto quel peso, non ha voluto più lasciare la compagnia che aveva incontrato. È rimasto. Ecco perché i vangeli riportano tante informazioni su di lui. Perché non è mai andato via dalla compagnia cristiana. L’esperienza della comunione ha vinto in lui ogni disgusto e paura dell’apparenza.
Che sia così anche per noi! Quando capita un fatto che riteniamo ingiusto e che ci porta a ribellarci, ad afferrare una spada per eliminare il nemico, possiamo almeno porre una domanda: “Tu sei qui, o Cristo, amami qui!”. È l’apertura a un nuovo mondo. Ascoltiamo questo invito.
VI Stazione
La Veronica asciuga il volto di Gesù
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
(sal 27, 8-9)
Spesso siamo pieni di presunzione. Ci sentiamo potenti, capaci di cambiare il mondo e trasformarlo secondo i nostri criteri! Ovunque si trovano pagine scritte, si sentono discorsi in tal senso. ad esempio, quando riflettiamo sul genere di educazione che dobbiamo dare ai giovani.
Quando guardo alla veronica, penso: che cosa poteva fare per cambiare il mondo, per ribaltare l’ingiustizia in giustizia, la condanna in grazia, la bruttezza in bellezza, la morte in vita? Niente. Però ha fatto una cosa: è andata vicino ad uno che le faceva paura, che provocava la sua compassione.
Noi non cambiamo il mondo ma Dio ci dà la possibilità, come con la veronica, di amare la persona che abbiamo davanti. E questo cambia tutto. ciò che cambia non è la sofferenza a cui ci si avvicina. cambiamo noi. Il frutto del gesto di veronica è che l’immagine di Cristo è rimasta con lei. Lei è cambiata, trasformata nell’immagine di Cristo.
Noi invece pensiamo: ci andrò quando avrò la forza, mi avvicinerò quando avrò qualcosa da dire.
Ricordo l’esperienza di un amico che mi aveva chiamato in un momento di difficoltà.
Viveva da moltissimi anni un’esperienza di vita cristiana attiva e missionaria e seguiva da tempo una famiglia che quel giorno aveva subito una tragedia indicibile, la morte di una figlia. Lui non voleva andare da loro poiché non sapeva che cosa dire per cambiare le cose: tutte le sue certezze erano venute meno. Io l’ho invitato ad andare, sentendosi povero come loro, però con una domanda pressante: “Dove sei, o Cristo, dove sei?”. Così ha fatto. Dopo, mi ha raccontato ciò che aveva visto nella settimana successiva: era stato cambiato da quel gesto.
Chiediamo di vivere l’esperienza della Veronica, almeno avvicinandoci alla sofferenza con la domanda: “Dove sei, o Cristo?”. Se avremo compassione di lui, verremo cambiati.
VII Stazione
Gesù cade la seconda volta
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.
(Fil 2, 5-8)
Pensiamo alla nostra impotenza davanti alle sfide, alla nostra debolezza esposta agli occhi di quelli che non ci amano.
Non è impotenza se di mezzo c’è l’obbedienza; non è una caduta, se avviene nell’obbedienza. Obbedire alla croce non è fallire ma compiere la volontà di Dio, cioè partecipare alla vittoria di Cristo.
Quando chiedevano a Madre Teresa come fosse possibile vivere la sua gioia, era solita dire: “È semplice, date finché non vi fa male e poi avrete gioia”. In altre parole, significa: date finché non provate paura per quanto avete perso, finché non siete usciti dal vostro recinto di sicurezze per vivere della sicurezza di Cristo. La sua promessa sarà mantenuta e voi sperimenterete la libertà nella gioia. “Volete la mia gioia? Date finché non vi fa male!”.
Gesù è caduto una seconda volta. Certo, lui è Gesù ma sappiamo che la notte prima della morte era entrato in agonia: le gocce del suo sudore erano diventate gocce di sangue. Per compiere questo cammino, Gesù si era spogliato della sua natura divina, come dice san Paolo (cfr. Fil 2,6-7).
Non ha fatto tutte queste cose per finta, non è caduto per gioco né è morto per scherzo. Si è spogliato, per arrivare al fondo della nostra impotenza, sperimentando quella distanza da Dio che anche noi sentiamo e che a volte cerchiamo volontariamente, pur di proteggerci dal dolore del mondo. La seconda caduta, che non è l’ultima, è come il nostro cadere davanti a quelli che non ci amano, come la strada della vittoria di Dio, perché di mezzo c’è l’obbedienza.
VIII Stazione
Gesù incontra le donne di Gerusalemme
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Gesù, voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?».
(Lc 23, 28-31)
Come è grande l’amore di Dio! Gesù, figlio di Maria, mentre muore dissanguato, dopo avere perso tutte le sue forze, cieco e invaso da un dolore straziante, si accorge – per davvero, non per finzione! – del pianto di queste donne e prova compassione per loro.
Ecco la forza dell’obbedienza dentro l’impotenza, quando ti ritrovi umiliato per l’ennesima volta, a causa dei tuoi molti peccati ed errori, oltre che per le ingiustizie degli altri. se siamo lì per camminare con lui, in obbedienza alla volontà di Dio, non siamo del tutto smarriti, non lo è il nostro cuore.
A quelle donne, Gesù ha detto: “Non piangete per me, ma per voi stesse”. Gesù vedeva la sciagura cui andava incontro quel popolo. I cristiani hanno sempre letto questa sua frase come una profezia della distruzione di Gerusalemme, che avverrà trent’anni dopo la sua morte.
Anche sulla croce, lui prova compassione per gli altri. Anche nella nostra umiliazione, a volte immeritata, se possiamo dire di sì a Cristo, restare per obbedienza a lui, non siamo smarriti. Siamo vivi, presenti fino al punto di guardare con compassione coloro che ci guardano. Il protagonista di un racconto di Tolstoj, nel momento in cui sta per morire di una malattia terribile, è circondato dalla famiglia che è lì per puro dovere, terrorizzata dalla scena di quell’agonia. L’uomo non riesce a comunicare con loro. alla fine, si arrende a Dio e comincia a sperimentare un senso di gioia, la vita eterna, là dove tutti vedono solo orrore. Lui stesso, per orgoglio e avidità, aveva provocato quella situazione di disagio, ma in quel momento incontra Dio. Cedendo a Lui, sperimenta la gioia della casa del Padre.
Per quelli attorno a lui, invece, la situazione sembra infernale.
La differenza sta nell’accettare di camminare ogni momento con Cristo.
IX Stazione
Gesù cade la terza volta
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come un agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte al suoi tosatori.
(Is 53, 7)
una volta qualcuno ha chiesto a Madre Teresa: “come posso essere umile come te?”.
Guardandolo in faccia, lei ha risposto: “Chiedi tante umiliazioni!”. Non è qualcosa di piacevole. Che cos’è l’umiltà? È forse la cosa più impossibile per l’uomo: si tratta di preferire la realtà, che in genere è molto diversa da come la si immagina. in quel punto, però, ci si può aprire all’ipotesi che la creazione sia una cosa buona, che sia fatta per noi.
Cristo è caduto una terza volta. Lui è caduto da innocente, mentre noi spesso cadiamo da colpevoli. Eppure, assieme a lui, possiamo tornare alla volontà di Dio, cercandola nella realtà, preferendo la realtà, dove c’è la possibilità di incontrare il suo amore e di conformarsi alla sua volontà. Dove possiamo entrare nella vita eterna.
L’umiltà è preferire la realtà alle proprie immagini.
Oltre ad essere umile, Madre Teresa era anche stupendamente, follemente coraggiosa. C’è un film documentario su questa santa. È stato realizzato da due persone non credenti che, per un anno e mezzo, l’hanno seguita e si sono trovate con lei in Libano, nel 1983, durante la guerra. Arrivate lì, si incontrano con i capi della chiesa cattolica per sapere quale sia il bisogno più grande. Nella parte musulmana della città, c’è un orfanotrofio per bambini disabili, abbandonati da più di una settimana, da quando gli adulti sono fuggiti. Madre Teresa decide di andare lì, anche se tutti le dicono che è una follia e la invitano ad ascoltare il rumore delle bombe che cadono nella zona. Decide di andarci il mattino seguente, ignorando le obiezioni sollevate dai presenti, validi uomini di chiesa. Lei li assicura che digiunerà e pregherà tutta la notte, chiedendo a Dio che venga dichiarato un “cessate il fuoco”. Durante la notte viene dichiarato il “cessate il fuoco”.
Dove si impara l’umiltà, allora? Madre Teresa ci dice che si impara attraverso le umiliazioni. Il coraggio dell’umiltà nasce in chi dice: “Obbedisco a te, o Dio”. E così viene salvato il mondo: lì nasce il coraggio di seguire Cristo, fino alla morte.
Gesù cade per la terza volta, andiamo con lui.
X Stazione
Gesù è spogliato delle vesti
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
I soldati, poi, (…) presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte.
(Gv 19, 23-24)
Questo è un momento drammatico, per più di un motivo.
Una ragione è sicuramente legata al dolore fisico: sull’uomo della Sindone, infatti, è stato possibile contare 4680 piaghe aperte. Tutto il sangue uscito mentre il corpo era ancora coperto dagli abiti ha fatto sì che questi si attaccassero alla pelle. Così, quando gli sono stati tolti, ognuna di quelle piaghe ha causato un’esplosione di dolore. C’è di più: a questo è seguita l’umiliazione finale, quando è stato messo veramente a nudo. Era nudo davanti a chi lo odiava. La sua nudità era terribile: era ridotto malissimo, non era bello da vedere. il vangelo dice che gli rivolgevano insulti ed offese, ridendo di lui.
Per noi, la cosa peggiore è essere messi a nudo davanti a chi ci vuole male. Gesù ci porta alla liberazione, se tutto di noi diventa obbedienza fiduciosa alla volontà del Padre.
Così veniamo liberati dalla paura che ci rende schiavi di satana, della menzogna. Tutto è messo a nudo. se desideriamo la compassione di Dio, dobbiamo avere il coraggio di non nasconderci al suo sguardo. Il modo più immediato per non essere nascosti allo sguardo di Dio è non fuggire allo sguardo degli uomini. Niente più finzioni, niente più storie. Messi a nudo, come pagliacci di cui si ride. Eppure, così ci troviamo accompagnati e salvati da Cristo. Non abbiamo più paura dello sguardo degli uomini.
È una posizione vertiginosa. Non possiamo nemmeno immaginare che cosa significhi vivere senza avere più paura dello sguardo degli uomini e nemmeno del nostro sguardo, quello che ci vede dallo specchio e ci accusa, giorno dopo giorno.
Allora seguiamo Gesù, messi a nudo come lui; è terribile ma la liberazione passa da questa resa. Così non abbiamo più nulla da perdere e viviamo solo di lui.
XI Stazione
Gesù inchiodato alla Croce
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: “Il re dei Giudei”. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra. Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: “Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!”. Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!”. E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
(Mc 15, 24-32)
Cristo è inchiodato al patibolo. conosciamo tutta la violenza con la quale è stato fissato alla croce, eppure Lui ci va volentieri. Lui è libero. chiodi enormi trafiggono il suo corpo per far sì che non si muova, ma lui non è fissato lì da quei chiodi. L’apparenza inganna, anche nella nostra vita. Possiamo essere dei perdenti, guardati con commiserazione, a distanza, con fastidio, ma può nascere in noi, attraverso questa esperienza, la grazia di dire «sì». E i cambiamenti accadono: un «sì» muta una scena di orrore totale in una umanità stupenda, libera, obbediente e grata.
Una volta, una donna mi raccontò il grande cambiamento avvenuto nella sua vita dopo una terribile depressione vissuta fra tante storie d’amore e di ricerca del piacere, attraverso le quali aveva anche cercato di dimenticare la sua difficile condizione psicologica. Un giorno le venne in mente il pensiero più folle: “E se la mia depressione fosse una chiamata di Dio, la strada su cui vuole incontrarmi?”. E la sua vita è cambiata radicalmente.
Le apparenze possono ingannare. una persona depressa può essere grata e amata. E Gesù, inchiodato, può stare lì sulla croce non a causa dei chiodi ma del suo amore per te.
Ciò che fissava Gesù a quella croce era l’amore, non quei chiodi!
Con che amore domandiamo di stare nella nostra vita, nella realtà? Con l’obbedienza grata alla volontà del Padre, che ci ama.
Allora seguiamo Gesù, messi a nudo come lui; è terribile ma la liberazione passa da questa resa. così non abbiamo più nulla da perdere e viviamo solo di lui.
XII Stazione
Gesù muore in croce
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Cleopa, e Maria Maddalena. Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua. Detto questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché si adempisse la Scrittura, disse: «Ho sete». C’era lì un vaso pieno d’aceto; posta dunque una spugna, imbevuta d’aceto, in cima a un ramo d’issopo, l’accostarono alla sua bocca. Quando Gesù ebbe preso l’aceto, disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.
(Gv 19, 25-27)
Le ultime parole di Gesù, riportate dal vangelo di Giovanni, sono: “Tutto è compiuto”. Nessuno gli ha strappato la vita, lui l’ha consegnata: è un’opera compiuta, non fallita. Così può diventare la nostra morte, quella di chi ci è caro, di chi è un tesoro per noi, nel cui amore abbiamo investito la nostra esistenza, la nostra vita, le nostre speranze. Come è stupenda la vita! Questa morte, questo silenzio, questa assenza sono la possibilità di una consegna.
Non è mai troppo tardi per dire: “Nelle tue mani, Signore, consegno il mio tesoro”.
L’apparenza inganna perché la realtà è molto di più. La realtà diventa esperienza quando ci parla di uno che ci ha creati per sé, per amore.
Visitando il museo del Cairo, si vedono migliaia di esemplari di statue di faraoni, una più perfetta dell’altra. in una sezione, poi, c’è la tomba di Akhenaton, che era un tipo un po’ originale. Sosteneva che tutti gli dei in cui gli altri credevano non esistessero. Per lui era chiaro che dio è uno solo. Costruì una nuova capitale, un nuovo tempio per un nuovo culto, imponendo anche un diverso modo di esprimere l’arte, attraverso il realismo. La sua statua e quella della consorte non sono perfette ma rispecchiano i limiti e i difetti fisici che avevano. Davanti a quella statua, ho pensato che non fosse tanto bella. Ho capito, però, che il realismo non consiste nel copiare l’apparenza ma nel rispettare l’esperienza della promessa di compimento nella croce, nella morte e nella sconfitta. Non bisogna dimenticare l’ esperienza di una promessa, di un miracolo, di un amore che c’era. Non era illusione, immaginazione, fantasia. Guardando la morte, non dobbiamo dimenticare questo: il realismo è fedeltà alla promessa di essere amati, sempre.
XIII Stazione
Gesù è deposto dalla Croce
V. Ti adoriamo cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Dopo queste cose, Giuseppe d’Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma in segreto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di poter prendere il corpo di Gesù, e Pilato glielo permise. Egli dunque venne e prese il corpo di Gesù. Nicodemo, che in precedenza era andato da Gesù di notte, venne anch’egli, portando una mistura di mirra e d’aloe di circa cento libbre. Essi dunque presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in fasce con gli aromi, secondo il modo di seppellire in uso presso i Giudei.
(Gv 19, 38-40)
Con che cura le donne e Nicodemo depongono il corpo di Gesù e lo portano alla sepoltura! L’apparenza era orrenda ma loro non si fermarono ad essa. Portavano nella memoria l’esperienza vissuta con lui, anche penosa, di una promessa, di un rapporto, dello stare dietro a lui. Perciò, con tenerezza, raccolgono quel corpo massacrato, di certo non bello, esito di azioni infami, nel quale era quasi impossibile riconoscere l’uomo che avevano seguito.
Dentro di loro, anche se l’apparenza diceva che tutto era finito male, come in un incubo, sapevano che l’unica cosa ragionevole era aiutarsi a vicenda a ricordare l’esperienza vissuta.
vediamo ripetersi questo oggi, di nuovo. Dio non ha finito con noi. Ci darà tante occasioni ancora in cui potremo vivere, non dell’apparenza ma nella memoria dell’esperienza fatta per avvicinare teneramente le persone che abbiamo davanti, i rapporti che ci sembrano distrutti, le amicizie che paiono sparite, le alleanze virate in inimicizia.
Possiamo guardare con compassione e speranza a queste cose perché viviamo memori dell’esperienza del cammino che compiamo con lui.
L’apparenza dice “sconfitta” ma l’esperienza con lui ci dice “sperate ancora”. Questa è la promessa vera che abbiamo ricevuto.
XIV Stazione
Gesù è posto nel sepolcro
V. Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo.
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.
Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati.
(Lc 23, 55-56)
Dopo la sepoltura di Gesù, le donne stavano a guardare a distanza. Perché stavano a distanza? L’esperienza della verità del cammino percorso insieme a lui diceva nel loro cuore: “È tutto finito?”. Tutto è sepolto ma non può finire così. È un incubo ma non può finire così. Credevano già nella resurrezione? Non possiamo saperlo, ma una cosa è certa: credevano che la vita promessa da Cristo e il “di più” sperimentato con lui fossero veri a tal punto che, anche in quel momento, se erano leali, non potevano dire: “Era tutta una illusione, tutto falso”. Nascevano solo queste parole: “Non può finire così”. Se l’apparenza spingeva a crederlo, l’esperienza diceva: “No”!
Nelle sue apparizioni lungo la storia, la Madonna ripete spesso: “Decidetevi per Dio”. Nella vita dobbiamo scommettere su qualcosa. Possiamo farlo su noi stessi, ma chi si è guardato allo specchio questa mattina sa che forse non è la strada giusta. si può scommettere su tante cose: sulla politica, sulle nuove tecnologie, sulle persone che ci amano, ma anche loro devono guardarsi allo specchio. No. Anche l’ esperienza più vera di amicizia con le persone intorno a noi ci deve far dire: scommetto su Dio.
Se il matrimonio significa scommettere sullo sposo o sulla sposa, potrebbe non andare bene. Ma essendo una vocazione, la scommessa è su chi ci ha chiamato. Questo significa scommettere su Dio.
Per scommettere su Dio, ci vuole solamente una piccola frazione di questo “di più”, sufficiente a farmi riconoscere la parte di esperienza in cui Gesù mi ripete: “Scommetti su di me; ogni apparenza potrà essere contraria, ma ora scommetti su di me”.